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Corte d'Appello di Bologna > Giustificato motivo oggettivo
Data: 05/04/2007
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 830/06
Parti: Sirton Pharmaceuticals S.p.A. / Paolo F.
LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO – ONERE DEL DATORE DI PROVARE L’IMPOSSIBILITÀ DELL’INIDONEITA’ AL LAVORO E DI RIUTILIZZO IN ALTRE MANSIONI - IMPOSSIBILITA’ DI GIUSTIFICARE IL LICENZIAMENTO CON ULTERIORI DIVERSI MOTIVI - RINUNCE E TRAN


Art. 3 legge n. 604/1966

Art. 7 della legge n. 300/70

Art. art. 33 del CCNL 1 marzo 1991

Art. 5 della legge n. 300/70

Art. 2113 cod. civ.

Art. 1370 cod. civ.

Nel maggio 1996 il sig. Donato S. veniva assunto come guardia giurata, senza aver evidenziato, nella domanda di assunzione, una patologia all’anca che comportava una riduzione permanente della capacità lavorativa del 46%. Dopo aver svolto per circa due anni le mansioni di guardia giurata, nel gennaio 1998 il lavoratore inviava all’azienda la documentazione relativa alla sua patologia e la comunicazione del suo stato di invalidità e questa lo licenziava, ritenendo che le sue condizioni di salute rendessero impossibile la prosecuzione della sua attività ed aggiungendo comunque che, non avendo egli dichiarato, al momento dell’assunzione, le limitazioni di carattere personale allo svolgimento dell’attività lavorativa proposta (avendo in particolare barrato la casella NO su un modulo relativamente alla voce “handicap”), aveva posto in essere una condotta prevista dal contratto collettivo di categoria come giusta causa di risoluzione del rapporto (restando però assorbente il rilievo dell’impossibilità della prosecuzione dell’attività lavorativa). A seguito dell’impugnazione del licenziamento avanti al Pretore di Reggio Emilia la società richiedeva il rigetto del ricorso, proponendo in via riconvenzionale principale la richiesta che venisse accertato che la dichiarazione del ricorrente contenuta nella domanda di assunzione del 1996 “di inesistenza di limitazioni alla piena capacità fisica” ed il contestuale nascondimento della esistenza di grave patologia preesistente costituiva giusta causa di licenziamento. In via riconvenzionale subordinata il datore di lavoro chiedeva l’annullamento del contratto di lavoro “per dolo o per errore essenziale” ovvero, per l’ipotesi che fosse accertata l’inesistenza della patologia dichiarata dal lavoratore o la sua minore gravità, che fosse risolto il contratto per giusta causa o giustificato motivo. Il Tribunale di Reggio Emilia, succeduto al soppresso Ufficio del Pretore, interpretando la disposta CTU nel senso che l’accertata patologia darebbe luogo ad una “modesta riduzione della capacità di lavoro del dipendente, sicuramente di gran lunga inferiore a quanto ritenuto dalla USL” con sentenza n. 803/2002 dichiarava: illegittimo il licenziamento intimato per impossibilità sopravenuta della prestazione; infondata la pretesa di qualificare il recesso come giusta causa stante il principio di non modificabilità dei motivi di licenziamento; infondata anche la domanda di annullamento del contratto non ricorrendo né l’ipotesi del dolo, per mancanza di prova dei raggiri, né quella dell’errore per difetto dei requisiti della riconoscibilità. Limitava però la misura del risarcimento del danno a quella minima prevista dalla legge, tenendo conto che la condotta preassuntiva del lavoratore non era stata improntata a correttezza e buona fede e del tempestivo reperimento di nuove occupazioni.

A seguito di impugnazione della sentenza, la Corte d’Appello di Bologna viene chiamata a pronunciarsi, preliminarmente, su una richiesta di cessazione della materia del contendere per aver il lavoratore sottoscritto una ampia quietanza liberatoria dalla formula omnicomprensiva (“non avere più nulla a pretendere per qualsiasi titolo o causa o ragione dedotta e/o deducibile in relazione al pregresso rapporto di lavoro…”) a definizione di una controversia collettiva relativa a pretese retributive e di inquadramento. La Corte respinge l’eccezione, evidenziando il mancato esplicito riferimento al contenzioso giudiziario in essere e ritenendo conseguentemente che, affinché la rinuncia potesse riguardare la materia oggetto del giudizio, sarebbe stato necessario “manifestare, in modo non equivoco, l’intenzione di inglobare anche la questione relativa all’impugnazione del licenziamento nell’ambito dell’accordo transattivi raggiunto”. Quanto al merito della controversia, i giudici di secondo grado deducono dalle conclusioni del CTU, “logiche, tecnicamente convincenti e non contraddette da argomentazioni di segno contrario” che non risulta pienamente provata l’inidoneità fisica del lavoratore allo svolgimento delle mansioni di guardia giurata (peraltro svolte nel biennio precedente il licenziamento, a fronte di un quadro patologico sostanzialmente non aggravato) e nel contempo che la società appellante non ha né allegato né provato che in azienda non esistevano altre attività, anche diverse ed eventualmente inferiori a quella svolta (v. Cass. 12362/03) compatibili con lo stato di salute del dipendente ed attribuibili senza alterare l’organizzazione produttiva. Non avendo quindi il datore di lavoro – su cui gravava il relativo onere – fornito la prova sia della totale o parziale impossibilità del dipendente di rendere il servizio per il quale era stato assunto, sia della impossibilità di utilmente reimpiegare in altre mansioni disponibili all’interno dell’impresa, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve considerarsi illegittimo.

I giudici dell’appello confermano poi la pronuncia di primo grado anche sugli altri punti, richiamando la giurisprudenza in tema di immodificabilità della contestazione (Cass. n. 823/89) altresì precisando (v. Cass. n. 6143/05) che anche nel caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto vale la regola generale dell’immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo di licenziamento, con la conseguenza che ai fini del superamento del suddetto periodo (in ipotesi di comporto per sommatoria) non può tenersi conto delle assenze non indicate nella lettera di licenziamento, sempre che il lavoratore abbia contestato il superamento del periodo (v. anche Cass. 8641/99). D’altra parte il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non avrebbe potuto essere trasformato in licenziamento per giusta causa anche per la mancata preventiva contestazione di addebiti ai sensi dell’art. 7 della legge n. 300/70.

Quanto all’annullamento del contratto per vizio del consenso ed in particolare per errore essenziale (unico punto di censura della sentenza di primo grado, essendosi conseguentemente formato giudicato interno sulla domanda di annullamento per dolo) la Corte osserva che la dichiarazione del lavoratore in fase preassuntiva non poteva integrare un elemento determinante nella formazione del consenso del datore di lavoro, il quale avrebbe potuto-dovuto sottoporre il candidato a visita medica preassuntiva, secondo quanto previsto dall’art. 33 del CCNL che richiama l’art. 5 della legge n. 300/70. Inoltre detta presunta dichiarazione era consistita, di fatto, solo nell’aver barrato la casella NO alla voce “handicap” su un modulo unilateralmente predisposto dal datore di lavoro con quesiti estremamente generici che richiedevano una risposta secca tra SI e NO, frutto di valutazioni soggettive. Essendo nel caso di specie oggettivamente controversi sia il significato della domanda sia la funzione da attribuire alla risposta, anche in applicazione del principio sancito dall’art. 1370 c.c.

la Corte ritiene “secondo una interpretazione peraltro conforme ai principi di buona fede e correttezza, che le domande e le relative risposte non abbiano alcuna efficacia vincolante in ordine all’accertamento dei requisiti necessari per la stipulazione del contratto di lavoro, con la conseguenza che il datore di lavoro conserva comunque la facoltà di verificare l’esistenza di tali requisiti”. Quindi, “se errore vi fu, esso dipese dalla estrema genericità del modulo di assunzione predisposto dallo stesso datore di lavoro, che non aveva consentito al candidato di fornire una risposta dettagliata e precisa sul suo stato di salute (…) con la conseguenza che lo stesso datore di lavoro non può poi invocare, ad assunzione avvenuta, un inesistente vizio del consenso per annullare il contratto” .